(aggiornamento gennaio 2005)
Note tecniche sulle corde e cenni sui materiali speleo alpinistici.
Norme UIAA e norme CEN.
Le norme UIAA (Unione Internazionale Associazioni Alpinistiche) sono “vecchie” e quindi consolidate da una notevole esperienza nel campo specifico degli attrezzi d’alpinismo ed hanno valore in tutto il mondo (precisamente nei 65 paesi membri). Esse sono espresse da comitati tecnici di un’associazione (la UIAA appunto) internazionale e sono intese come “volontari” nel senso che sta al fabbricante decidere se vuole o meno produrre attrezzi che soddisfano le norme UIAA, quindi esse hanno un significato puramente commerciale.
Le norme UIAA sono entrate in vigore il 12/5/1965 - data della registrazione internazionale - .Dal punto di vista legale è una società Svizzera con sede a Berna. Le norme UIAA, come detto, sono “volontarie” e non vincolanti: un produttore può decidere di non produrre attrezzi che soddisfino le norme UIAA. La marchiatura è sinonimo di controllo effettuato ogni due anni (in un prossimo futuro ogni anno) ovvero Il fabbricante fornisce OGNI DUE ANNI un campione della produzione per sottoporlo ai test. La UIAA non può perseguire legalmente il produttore che non si adegua alle norme.
Le norme CEN sono entrate in vigore il 1/7/1995. Sono espressione della volontà del parlamento europeo e quindi obbligatorie NELLA SOLA COMUNITA’ EUROPEA: non si possono più produrre o mettere in commercio attrezzi non conformi alle norme CEN.
Attenzione!
E’ consentito vendere prodotti messi in commercio precedentemente quindi, se dobbiamo acquistarne, che almeno abbiano il marchio UIAA.
Con le direttive 89/686/CEE e 93/68/CEE è stato introdotto il concetto di:
PEE - Personal Protective Equipment - ovvero DPI - Dispositivo di Protezione Individuale - che non riguarda solo gli attrezzi alpinistici.
Definizione di DPI: “prodotti che hanno la funzione di salvaguardare la persona che l’indossi o comunque li porti con se da rischi per la salute e a sicurezza”, quella che ci interessa è: protezione contro una caduta dall’alto” (ne avete mai visto una dal basso?); inoltre bisogna considerarli di protezione nei confronti di una caduta già in atto! Viene esclusa la prevenzione della stessa! Ciò genera confusione e non si accettano come DPI i discensori, i ramponi, le picozze, i freni, i chiodi…
I DPI sono divisi in 3 categorie:
CAT O Nessun livello di protezione.
CAT 1 Protezione contro danni fisici di lieve entità (stivali, occhiali da sole, etc….).
CAT 2 tutti quelli che non rientrano nelle categorie 1 e 3 (qui dovrebbero essere ricompresi tutti gli attrezzi alpinisici).
CAT 3 Sono strumenti di progettazione complessa destinati a salvaguardare da rischi di morte o lesioni gravi e di carattere permanente.
Le norme CEN sono praticamente una traduzione, con qualche aggiornamento, delle norme UIAA.
Le norme CEN sono emesse dalla Direzione Generale Industria (DGIII) che detta le regole. La CEN cura solo la stesura delle norme tecniche, seguite da un comitato tecnico (il TC136) e dai sottoposti “Wordking Groups” (WG5) e sono individuate con la sigla:
EN - European Norm - (UN “bastardo” linguistico che non esiste in lingua inglese che riporterebbe, semmai, il termine STANDARD) seguite dal numero di identificazione della norma stessa.
Sugli attrezzi però non vi sarà marchiata la sigla “EN numero” ma bensì le lettere:
CE – Conforme alle Esigenze - ovvero le esigenze espresse dalla direttiva a cui le norme si ispirano.
NOTIFIED BODY (organismo notificato E’ un istituto di controllo riconosciuto dal governo con uno o più laboratori per le prove dei materiali. L’istituto controlla la rispondenza alle norme CEN. Esso deve essere notified – notificato – dal proprio governo alla Commissione Europea. Lo stesso vale per i laboratori, definiti “certified laboratories”.
In Italia esistono 2 laboratori approvati: 1) CSI-Montedipe di Milano, 2) Università di Padova, Istituto di scienza e tecnica delle costruzioni.
EC Type Examination (esame del prototipo) quando si tratta di verificare la corrispondenza di un attrezzo alle esigenze essenziali della direttiva.
Checking of PPE manufactured (controllo della produzione) avviene in due modi:
- a) EC quality control system for the final product : un notifyed Body con visite almeno una volta all’anno, controlla i mezzi di produzione per accertare che siano conformi a quanto dichiarato e preleva campioni di prodotti da sottoporre a test .
- b) System for ensuring EC quality of production by means of monitoring: in questo caso la ditta è certificata ISO 9000 dove ISO stà per International Standard Organization (tradotta in norma europea EN3900): il riconoscimento ISO 9000 dura solo tre anni.
Vi è da precisare che nella fase finale di elaborazione di una norma EN (che in questo caso si chiama prEN cioè “progetto di norma”) si attraversano due stadi di approvazione:
- 1) l’inchiesta,
- 2) il voto formale.
In entrambi i casi l’ente normativo nazionale (per gli italiani: UNI) sottopone ai partecipanti ai lavori il progetto di norma per le eventuali correzioni o modifiche (INCHIESTA) e successivamente, dopo l’eventuale rielaborazione in sede di “working group” si dia l’accordo finale (VOTO FORMALE). Entrambi richiedono circa 6 mesi.
Norme CEN e marchiatura CE.
Le norme CEN sono individuate con la sigla EN (European Norm) seguita dal numero di identificazione; per esempio il testo della norma sulle corde ha il n° EN 892. Questa sigla non ha nulla a che vedere con la marchiatura degli attrezzi alpinistici che devono presentare, se corrispondenti alle norme europee, il marchio con le lettere CE (conforme alle esigenze o conformità europea). Il marchio CE contraddistingue i materiali ed i dispositivi certificati secondo le direttive europee e le relative norme di riferimento, ma NON E’ UN MARCHIO DI QUALITA’.
Marchiatura.
La confusione normativa giustifica, in parte, la molteplicità di marchiature CE che si vedono in giro. Il vecchio sistema prevedeva la marchiatura seguente:
CAT.1) solo CE.
CAT 2) CE seguito da un anno di approvazione (ultime due cifre), es CE 92.
CAT 3) CE seguito da un anno di approvazione e dal numero di identificazione (ID) del “notified Body (“organismo notificato” ossia un istituto di analisi riconosciuto ufficialmente dal governo di un dato paese per le prove di laboratorio sui materiali) che effettua la sorveglianza, es. EN569 = numero di norma – 0123 numero dell’istituto o del laboratorio che rilascia il certificato di conformità.
La data veniva spesso identificata da alcuni fabbricanti come quella di fabbricazione del pezzo.
A partire dal 1997 la situazione è cambiata; per evitare errate interpretazioni da parte dei fabbricanti, particolarmente, sul significato dell’anno da inserire nelle marcature si è deciso di eliminarlo. Resterà, dunque, la sigla CE seguita dal numero di identificazione (ID) del notified body che ha eseguito o esegue il controllo.
Nel primo caso si tratta di un ID che si limita ad eseguire le prove di laboratorio necessarie per verificare le rispondenza alle norme dei materiali (DPI che rientrano in CAT 2).
Nel secondo caso si tratta di un ID che mantiene sotto controllo la fabbrica, eseguendo, o facendo eseguire, prove di laboratorio sui prodotti con una frequenza da esso stesso decisa (PPE che rientrano in CAT 3).
Per chiarire, rientrano tra i DPI di 3^ categoria. Imbracature, caschi, corde, moschettoni, autobloccanti meccanici, fettucce cucite, rinvii, chiodi, dadi, friends;
Non sono classificabili in questa categoria: freni (secchielli, piastrine autobloccanti, otto) perché da soli non proteggono l’individuo da una caduta mortale.
Il GRI GRI può essere certificato CE in quanto è un freno comprensivo di sistema autobloccante (non avendo un dispositivo antipanico e lasciando la possibilità di una sistemazione errata della corda non supera i requisiti CE come DPI per il lavoro).
Rientrano tra i DPI di 3^ categoria i ramponi da ghiaccio che devono proteggere dal rischio di scivolata e non di caduta.
Le piccozze a ghiaccio sono DPI ma non si collocano in 3^ categoria se non con artifizi messi in atto dalle aziende produttrici ossia proporli come mezzi di assicurazione e non di sola progressione….
I dissipatori da ferrata possono ottenere certificazione CE come DPI solo se venduti già completi con corde e cuciture.
Si introduce il concetto di DPC per semplice conoscenza in quanto questi “Dispositivi di Protezione Collettiva” non esistono come norme di conformità ma solo come norme armonizzate e non interessano l’attività speleologica, almeno per ora, e sono le placchette, le viti ad espansione ed i fittoni resinati che restano in loco e possono venire utilizzati da chiunque: ma non è detto che non ci si arrivi anche per gli speleo visto che lasciamo in loco tutto il materiale infisso in parete per anni ed anni…
N.B.
L’unità di misura utilizzata per indicare il carico di rottura degli attrezzi è il Newton.
1 DaN (deca Newton, cioè 10 newton) corrisponde a circa 1,02 KG.
1 KN (Chilo Newton, cioè 1000 Newton) corrisponde a circa 102 Kg.
Marchiatura delle corde (v. tav. 1).
Le corde cosiddette “statiche” per speleologia NON riportano, sui capi terminali, le fascette che richiamano usi alpinistici ovvero “UIAA 1”, “UIAA ½”, “UIAA twin” che stanno ad indicare una corda da utilizzare singola, doppia o gemellata.
La differenza tra questi 3 tipi di corde sta solo nelle modalità d’uso.
Corde 1 - singole -: si tratta di una sola corda - diametro solitamente non inferiore a 10 mm con lunghezza tra i 50 e i 60 metri - che vanno utilizzate passando attraverso tutti i rinvii.
Corde Twin - gemelle -: si tratta di 2 corde - diametro intorno a 8 mm, lunghezza 50 o 60 metri - e vanno utilizzate passandole entrambe nei rinvii.
Corde ½ - mezze corde - diametro intorno a 8 mm, lunghezza 50 o 60 metri -: vanno utilizzate passandole alternativamente nei rinvii, ovvero una corda nel primo rinvio, lasciando fuori la seconda e poi quella lasciata fuori va passata nel secondo rinvio, escludendo la prima, e così via.
La differenza tra la “Twin” e le “½ “sta nel fatto che vi sono diversi attriti nelle manovre di recupero e progressione nell’arrampicata. Il vantaggio di utilizzare le 2 corde, rispetto alla singola, sta nel fatto che si ha maggiore resistenza a taglio ed abrasione - si usano 2 corde anziché 1 sola – e si ha la possibilità di calarsi raddoppiata perché una corda singola va infilata nell’anello di ancoraggio da cui ci si vuole calare, quindi la lunghezza di calata è uguale alla metà della lunghezza totale della corda ( 50 : 2 = 25 metri oppure 60 : 2 = 30 metri); le altre, essendo 2 corde, la calata sarà pari alla loro lunghezza effettiva perché il nodo di giunzione tra le due si troverà all’ancoraggio.
ATTENZIONE! Le corde sopra menzionate sono solo per uso alpinistico perché sono “dinamiche”, ovvero si allungano di una certa percentuale se sottoposte ad un carico mentre quelle speleo sono “statiche” ovvero si allungano molto meno.
Fattore di caduta.
Per meglio comprendere in quale modo si può giungere a pericolose sollecitazioni sui materiali è doveroso introdurre un concetto molto importante: il FATTORE DI CADUTA (Fc).
Questo elemento è estremamente legato alle corde, alla loro resistenza ed al loro impiego: la tenuta di una corda è in rapporto alla sua lunghezza, ossia alla possibilità di suddividere una determinata sollecitazione su una superficie maggiore; per contro la forza prodotta da una caduta è in stretta connessione con l’altezza della stessa. Possiamo quindi definire il Fc come il rapporto tra l’altezza della caduta (H) e la lunghezza della corda (L) che arresta la stessa.
Fc = H/L
Da ciò si deduce che cadere da 1m su 1 m di corda produrrà lo stesso effetto - solo sulla corda - che cadere da 100 m su 100 m di corda, infatti in questi casi il Fc è sempre uguale a 1.
In una progressione verso l’alto, partendo da una “sosta”, l’alpinista sale passando la corda in alcuni “rinvii” posti in successione tra loro; la lunghezza della corda che vincola l’alpinista dalla sosta aumenta progressivamente mano a mano che questi sale, la sua altezza di caduta, invece, sarà pari alla distanza che lo separa dall’ultimo rinvio. Quindi, ad esempio, dopo 3 rinvii – partendo dalla “sosta” - potremmo avere 9 metri di corda che seguono l’alpinista; tra l’ultimo rinvio e il nostro alpinista, invece, poniamo che siano stati scalati 5 metri e cade…la corda su cui si scarica la forza generata dal volo sarà di 9 metri, per cui il Fc sarà pari a 0,555 (5:9= 0,555).
Vi sono casi in cui Fc può raggiungere valori maggiori di 1, ma non è questa la sede per trattare l’argomento. Si sappia che la sicurezza si ottiene solo con Fc minori o uguali ad 1, negli altri casi il pericolo di rottura della corda - o di lesioni all’essere umano che vi è assicurato - sono serie. L’unica situazione reale, in montagna, in cui il Fc può essere maggiore di 1 è la progressione su via ferrata in cui l’alpinista è assicurato ad una catena o cavo d’acciaio, vincolati alla parete, attraverso una longe di poco più di 1 metro. In questi casi, cadendo, il volo sarà pari alla distanza esistente tra il punto di inizio caduta e il primo ancoraggio alla parete del cavo che interromperà il volo; avremo così la possibilità che su 2 metri di longe si facciano cadute di più metri - per esempio 5 – avremo così un Fc pari a 2,5 (5: 2 = 2,5) con probabile rottura della corda stessa! Ecco perché su vie ferrate usare sempre il “dissipatore”.
In speleologia le cadute non dovrebbero mai superare il Fc = 1 perché la nostra progressione avviene sempre con il vincolo della corda alla parete sopra la nostra testa, insomma non dovremmo mai “volare” perché se si cade significa che l’ancoraggio alla parete della corda su cui stiamo procedendo - sia in discesa che in salita - si è rotto, quindi entrerà in “funzione” il secondo ancoraggio - che deve sempre esistere!! – e che ci farà sentire uno strappo leggero - se l’armo è ben fatto - ed al massimo “sbatteremo” un pò sulla parete…
Gli ancoraggi, poi, devono essere sempre realizzati “verso il basso” (gli attrezzisti questo lo sanno benissimo). Non troverete MAI ancoraggi in cui il secondo - quello verso il pozzo - si trovi ad un’altezza maggiore di quello di partenza. Se così non fosse il volo sarebbe “ sfavorevole” e si tradurrebbe in uno “strappo” eccessivo sull’ancoraggio buono col rischio di avere Fc maggiori di 1 e/o la rottura anche di quest’ultimo.
L.I.R. (Limite Inferiore di Resistenza).
Questo indice è un valore sperimentale dato da una serie di fattori che portano a considerare che la catena d’assicurazione, composta da tutti gli elementi che compongono lo “strumento” che ci sostiene (partendo dallo spit, passando dalla piastrina, poi al moschettone, la corda, la magia rapida dell’imbrago, ectc.) nella progressione speleo non possono scendere al di sotto di 1.100 kg per ogni singolo elemento considerato.
Se abbiamo un solo elemento che “tiene” di meno si porta tutto lo “strumento” ad avere una resistenza pari al valore più basso, che coincide con l’elemento più debole: insomma è inutile avere corde che tengono 3.000 kg ed una maglia rapida che ne tiene 500!! Se si cade si spezzerà la maglia rapida!!
L.I.R.= 1.100 kg
Corde: di cosa sono fatte.
Solo pochissimi costruttori danno notizie su cosa sono fatte le corde.
Sappiamo che sono costruite utilizzando fondamentalmente fili di nylon.
Resta da vedere se il nylon è di “tipo 6.6” oppure, semplicemente, “tipo 6” detto commercialmente “Perlon”.
Per noi la differenza non è solo di nome ma anche di fatto perché è legata alle differenti proprietà dei singoli nylon sopra citati; principale tra tutte è la temperatura di fusione:
Nylon 6.6 fonde a 260 °C
Nylon 6 fonde a 215 - 220 °C
In relazione a queste caratteristiche fisiche sta la questione del meccanismo di rottura delle corde annodate, la quale rottura è una conseguenza della fusione delle fibre elementari surriscaldate per attrito. Dai dati relativi alla temperatura di fusione del materiale di cui sono costituite le corde ci si dovrebbe aspettare che il nylon 6.6 sia meno sensibile del nylon 6 a ridurre il carico di rottura per effetto della presenza di un nodo. Infatti, se la rottura in presenza di un nodo avviene per fusione delle fibre elementari - che sono i singoli fili che compongono la corda - allora avere una corda i cui elementi fondono a temperatura maggiore dovrebbe tradursi in maggiore resistenza…
Altra considerazione utile è che un più elevato punto di fusione favorisce anche il mantenimento delle qualità della corda dopo un uso scorretto con il discensore. Infatti, scendere alla “commandos fa “figo” ma scalda in maniera pazzesca il discensore - e fin qui, peggio per chi lo deve togliere dalla corda - ma la cosa grave é che la corda, a contatto con il discensore “bollente” si scalda!! E se il “figo” è sceso a razzo la temperatura può rivelarsi pericolosa perché “cuoce” la corda e, a lungo andare, la indebolisce: la corda la usiamo tutti, trattiamola con il dovuto rispetto.
Sono state recentemente commercializzati cordini in “kevlar”, fibra sintetica di recente tecnologia prodotta dalla ditta Dupont. Si tratta di una fibra aramidica, ossia simile chimicamente al nylon, ma con caratteristiche fisico - meccaniche eccezionali (resistenza alla rottura 3-4 volte superiore al nylon, a parità di peso) sia allo strappo, sia sotto l’effetto di nodi e di spigoli. In alpinismo il kevlar trova il suo migliore impiego come cordino accessorio.
Sul mercato esiste in due versioni: diametro 5,5 mm e 6 mm; i suddetti cordini presentano un carico di rottura di circa 19 kN.
I cordini sono costituiti da una calza in nylon 6 e da un’anima di filamenti di kevlar di colore giallo. La calza è tubolare come per le corde “normali”.
L’anima è costituita da 17 trefoli intrecciati per formare un’unica treccia; ogni trefolo è, a sua volta, costituito da 5 stoppini ritorti.
Per tagliarlo dalle matasse NON si può usare il sistema del filo incandescente perché il Kevlar fonde ad altissima temperatura; quindi, a differenza delle normali corde in nylon, si deve usare una lama.
Questo prodotto è ancora in fase di studio; per ora i cordini in kevlar sono utilizzati per vincolare la corda alla parete in quanto NON sono in grado di assorbire energia in caso di caduta!
Utilizzo ottimale trovano nel collegamento tra moschettoni e placchette a parete e per realizzare nodi auto bloccanti perché, avendo una temperatura di fusione molto elevata, sopportano egregiamente l’elevato calore che si genera durante l’uso, cosa che un normale cordino in nylon invece può portalo a fusione!!!
Nota: esistono in commercio anche cordini in “Dyneema” che hanno caratteristiche simili al kevlar.
Corde: come sono fatte.
Le corde spelo-alpinistiche sono costituite da una “calza o camicia” e da un”anima”.
Entrambe sono formate da filamenti continui di nylon (6.6 o 6) aventi lo spessore di circa 30 millesimi di millimetro - la metà di un normale capello - il cui numero può arrivare a 60-70.000 filamenti per diametro di corda da 11 mm.
La “calza o camicia” sta all’esterno; è un tessuto a costruzione tubolare ottenuto per intreccio di un certo numero di stoppini colorati, fasci in media di 5-600 filamenti blandamente tensionati tra loro avendo una funzione protettiva e di contenimento. Il suo spessore, con corda a riposo, varia da 1 a 2 mm e concorre per circa 1/3 al carico di rottura.
Sotto trazione tende a ruotare in senso antiorario (generalmente).
L”anima” è disposta all’interno della “calza” ed è costituita da un certo numero di trefoli, non sempre delle stesse dimensioni.
I trefoli sono realizzati intrecciando un certo numero di fasci elementari (in genere tre). Sotto trazione tendono a ruotare in senso opposto a quello dell’intrecciamento. Ogni trefolo ha un carico di rottura che si aggira intorno a 130 DaN.
La corda, una volta composta di tutti i suoi elementi, non deve fare ruotare il carico sospeso. Per tale motivo le corde di buona fattura contengono un certo numero di trefoli ritorti metà in un senso e metà in senso opposto, più uno intrecciato in modo tale da compensare la potenziale torsione della “calza”: ecco perché i trefoli sono quasi sempre in numero dispari.
CURIOSITA: perché ci serve saperlo? Perché in caso d’emergenza si taglia la calza di una corda e si annodano tra loro i trefoli che la compongono, si ottengono così tratti di corda più lunghi per andarsene… infatti ogni trefolo regge 130 DaN (più di 130 Kg!!); quindi, con la dovuta cautela - e se la situazione lo esige - possiamo appenderci anche ai soli trefoli (o sollevare qualcosa o qualcuno) insomma a mali estremi, estremi rimedi….solo se si sa come usare tutte le cose che abbiamo a disposizione, ed in grotta non è poi molto: tutto quello che ci sta introno è roccia e acqua, quindi dobbiamo sapere come sfruttare al meglio l’attrezzatura.
Massima: “ il problema delle corde è l’anima, perché l’anima non si vede”.
Corde “statiche” e corde “dinamiche”.
Sulla scorta di studi effettuati in passato per valutare quale sia lo sforzo massimo sopportabile dal corpo umano in improvvisa decelerazione (leggi caduta) sono emersi valori che riconducono a 15 g, dove g sta per il valore dell’accelerazione di gravità convenzionale a testa in su (g positivi).
Se cadiamo a testa in giù il valore si abbassa a soli 6 g (g negativi).
Questo perché si é constatato che nel corpo umano una improvvisa e violenta decelerazione porta il sangue a raccogliersi in vasi e ad abbandonarne altri con conseguenti sbalzi di pressione che potrebbero portare al danneggiamento di alcuni vasi, da qui la perdita di coscienza e lesioni interne.
Dalle considerazioni sopra esposte sono nati gli attuali valori di resistenza dei materiali speleo alpinistici.
Per gli alpinisti l’utilizzo di una corda è finalizzato alla sicurezza della progressione, ovvero fornire protezione in caso di caduta nel rispetto dei limiti di decelerazione sopra fissati.
Per questo le corde per alpinismo devono consentire di arrestare una caduta non superando il valore convenzionale di 1200 daN, calcolato per un corpo di 80 kg in caduta dall’apparecchio denominato DODERO, affinché, appunto, non superi il valore dei fatidici 15 g. in decelerazione.
CURIOSITA’: Il DODERO è l’apparecchiatura utilizzata per valutare certe prestazioni delle corde convenzionalmente determinate, in base al numero delle cadute sostenute in condizioni controllate, ed alla resistenza dinamica.
Per ottenere l’omologazione, secondo le norme CEN, una corda semplice deve resistere senza rompersi ad almeno 5 cadute, producendo uno sforzo massimo (Forza D’arresto o Fa) alla prima caduta non superiore a 1200 daN. Il test viene eseguito facendo cadere ad intervalli regolari di 5 minuti, per un’altezza totale di 4,6 metri, una massa di 80 kg legata all’estremità di uno spezzone di corda lungo 2,5 m ed avente l’altra estremità bloccata ad un ancoraggio.
Le corde alpinistiche sono considerate “dinamiche” perché consentono un certo allungamento sotto carico. Quelle in commercio presentano un allungamento che varia tra il 6 % al 9,5 %. Questo fattore contribuisce ad assorbire energia in caso di caduta perché la deformabilità riduce le sollecitazioni sul corpo dell’alpinista e sull’ancoraggio alla parete, che si traducono in maggior sicurezza complessiva.
Per gli speleologi occorre considerare che la corda non viene utilizzata per assicurazione in caso di caduta come per gli alpinisti, ma viene utilizzata per calate in pozzi e per la successiva risalita: non esistono gli stessi pericoli di caduta su un tratto di corda che non sia già teso sull’ancoraggio, quindi non dovrebbe esistere lo “strappo” come nell’alpinismo (se l’armo è fatto a regola d’arte).
Da qui la necessità di una corda che “statica” ovvero non elastica come quelle per gli alpinisti; in commercio troviamo corde con allungamento che varia dall’1% al 5%.
NON UTILIZZARE CORDE STATICHE PER ALPINISMO!!
CURIOSITA’: In seguito agli studi della CTM (Commissione Tecniche e Materiali) si è riscontrato che “una corda statica con un corpo umano si comporta come un dinamica con un peso rigido”. Ovvero nel corso di prove di caduta con un volontario (umano e vivo…) e utilizzando un oggetto (inanimato e rigido..) si sono riscontrati valori che fanno ricondurre ad una certa “elasticità” del corpo umano ad assorbire urti.
Ultimi studi (2002) portati a termine dal Collegio Nazionale Guide Alpine hanno portato a definire meglio che la “bontà” di una corda non si può definire dal numero di cadute che sopporta o dal basso valore della Fa (Forza D’arresto) ma è da considerare anche, e soprattutto, che tipo di “freno” si usa e quale “mano” assicura. In parole povere un’assicurazione dal basso, per chi arrampica da primo di cordata, è sicura solo se si utilizza un freno a “secchiello” e l’assicuratore è abile nelle manovre; gli altri freni sino ad oggi utilizzati sono potenzialmente troppo “bruschi”, fra questi si annoveri il “GRI GRI”, l’”otto” ed il “mezzo barcaiolo”: ricordiamocelo nelle risalite!!
Diametro delle corde speleo.
Sin qui non abbiamo parlato di diametri perché è ormai in uso comune per la pratica speleologica l’utilizzo di diametri che variano tra 9 e 11 mm.
Inferiori sono pericolose, sebbene facili da manovrare, e leggere; superiori sono troppo pesanti, ingombranti e difficili da manovrare.
NOTA IMPORTANTE.
Nella pratica speleo gli studi del Centro di Costacciaro hanno portato a rilevare che il diametro ottimale è il 10 mm; quelle da 9 mm non danno affidamento nel tempo e si sconsigliano per armi “fissi”: quelle di diametro inferiore sono da scartare assolutamente e quella di diametri oltre10 mm possono essere usate con sicurezza ma presentano peso maggiore e l’aumento del diametro, che è naturale avvenga con l’uso per tutte le corde, può rendere difficoltoso l’utilizzo degli attrezzi di progressione.
Quanto “tengono” le corde speleo.
I valori di resistenza alla rottura a trazione lenta - senza nodi - si aggirano sui 2.800/3.000 kg per quelle da 10 mm di diametro e di 2.400 kg per quelle da 9 mm.
Peso delle corde speleo.
Per quelle da speleologia abbiamo pesi che variamo ovviamente a seconda del diametro ma che possiamo ricondurre a valori che si trovano compresi tra i 45-50 g/m per corde da 8 mm ed i 60-70 g/m per quelle da 10 mm.
Lunghezza delle corde speleo.
Sono commercializzate in bobine aventi lunghezza massima di 200 m o in spezzoni da 50 - 100 -150 m.
Come si tagliano le corde.
Nel negozio di fiducia con un filo di metallo reso incandescente da corrente elettrica ma, in grotta o in magazzino, sul testo di tecnica speleo dell’illustrissimo Badino si suggerisce di accostare il punto in cui si deve tagliare la corda a lato della fiamma - dell’acetilene o di un accendino - facendola “allo spiedo” sino a che si vede che la calza, prima di mettersi a colare, si è trasformata in un a sorta di tubo di plastica: la si lascia un po’ raffreddare e solidificare e poi la si taglia con una lama, magari riscaldata sempre alla fiamma e si rifinirà l’estremità appena tagliata direttamente alla fiamma.
Segnare i tratti corda con la lunghezza utile.
Dopo il taglio nella misura che si ritiene utile si deve provvedere a segnare ai capi la lunghezza dello spezzone mediante placche in metallo tenero stampigliate con la misura o con nastri di materiale plastico riscaldati e serrati per calore al capo: evitare nastri adesivi che nella parte coperta di colla contengono solventi che danneggiano il nylon della corda, e nemmeno usare pennarelli per segnarle, anche in questi c’è del solvente….
E’ bene eccedere di qualche metro nel taglio e in difetto nell’indicazione della misura di corda utile.
Accorciamento delle corde nuove.
Una corda nuova diminuisce la sua lunghezza, subito dopo l’uso, del 13 –14%. Prove effettuate a Costacciaro portano a dedurre che l’accorciamento avviene nel 1° anno d’uso per poi stabilizzarsi definitivamente.
ATENZIONE! Nell’armare una grotta con corda che si usa per la prima volta dopo l’acquisto si tenga conto che le anse tendono ad accorciarsi dopo il passaggio degli speleo, quindi fare anse più lunghe. Si rischia, sennò, di trovarsi, al momento della risalita, con le anse “scomparse” o cortissime o con la corda che dal fondo del pozzo è “risalita” di quel tanto che basta per non riuscire più ad afferrarla…aiutooo!
Deterioramento col tempo delle corde speleo (invecchiamento).
Le corde nuove vengono vendute con valori si resistenza di un certo livello che, non appena messe in opera decadono per i più svariati fattori, primo fra tutti il cosiddetto “invecchiamento”.
Solo se una corda non viene utilizzata mantiene inalterate le caratteristiche meccaniche.
Sino a poco tempo fa si riteneva chele corde si deteriorassero con il semplice passare del tempo, ossia “invecchiavano”. Da qui la convinzione che fosse necessario non utilizzare corde imballate ma vecchie di anni. Recenti dimostrazioni su corde “invecchiate ma nuove” hanno provato che se una corda viene conservata - nuova - imballata, al riparo dalla luce, in ambienti asciutti mantiene le proprietà di resistenza inalterate. Questo non deve suggerire che si possano utilizzare corde trovate in soffitta coperte di polvere!
Una corda EDERLID SS, diametro 10 mm del 1981, conservata al buio ed all’asciutto, trovata dopo 18 anni ha mostrato i seguenti valori (dati del 1999):
- · rottura a trazione lenta senza nodi = 2925 Kg,
- · rottura a trazione lenta con nodo guida con frizione 1905 Kg (- 35% rispetto alla corda senza nodi)
che sono gli stessi valori di una corda nuova.
Deterioramento generale delle corde speleo.
Le corde si deteriorano certamente con l’uso, ma i fattori principali che le indeboliscono possono ricondursi a:
- a) rottura dei filamenti per abrasione e taglio,
- b) sbalzi di temperatura.
- c) cadute sopportate
- d) dissoluzione per contatto con solventi di vario genere,
- e) esposizione alla luce solare,
- f) umidità, acqua e gelo.
I fattori di maggior pericolo sono quelli legati alla rottura dei filamenti (a).
Studi hanno riscontrato che il decadimento per uso avviene:
- Flessione e torsione nel discensore.
- Penetrazione dei denti dei bloccanti.
- Azione di microcristalli e altri possibili corpuscoli intrusi all’interno della corda (queste particelle, di solito a spigoli vivi e taglienti, possono inserirsi nell’anima della corda anche per la sola evaporazione dell’acqua calcarea, che deposita fra trefolo e trefolo microcristalli di calcite), questa componente agisce quando legata a quella del punto A.
- Abrasione della calza esterna per sfregamento con pareti.
- Snervamento dovuto alle sollecitazioni impresse durante la normale progressione. Tanto in discesa che in risalita.
Altro fattore è il riscaldamento e gli sbalzi di temperatura (b) che avvengono quasi sempre con l’attività speleologica, nonostante le nostre più tenere attenzioni.
Una corda messa in opera in grotta viene sollecitata dagli attrezzi di discesa con riscaldamento delle fibre: da qui la necessità di scendere lentamente senza scaldare troppo l’insieme discensore/corda. Ricordiamo che i filamenti elementari che compongono una corda fondono tra i 220 °C e i 260 °C e un discensore che “scotta” è certamente un elemento che non aiuta a mantenere le fibre in ottime condizioni!
In risalita i denti della maniglia tagliano inevitabilmente qualche filamento e questo, unito alle particelle solide contenute nel fango o altri elementi di cui si sporca la corda che, ricordiamolo, possono entrare all’interno della calza e negli stessi fasci di fibre che compongono i trefoli dell’anima, con il movimento naturale della corda – pieghe, nodi, calpestio (!) – portano a tagliare altri innumerevoli filamenti.
Come logico si può immaginare che, col passare degli anni in condizioni ordinarie di armo, una corda si può indebolire considerevolmente anche se non si possono fornire valori standard di deterioramento per ovvie ragioni legate alle variabili sopra considerate.
Le cadute (c), i cui gli choc indeboliscono le fibre rendendole maggiormente sensibili alle sollecitazioni plastiche, dovrebbero essere eventi quasi inesistenti in speleologia.
I solventi (d) invece devono essere evitati, ad esempio per marchiare le corde non usare pennarelli o simili prodotti che contengono parti di solvente e, tanto meno, riporre una corda accanto una tanica di benzina nel portabagagli dell’auto.
L’esposizione alla luce solare (e) non dovrebbe essere un evento che riguarda gli speleologi ma è stato riscontrato un decadimento per depolimerizzazione e a causa dei raggi UV diminuiscono le capacità di coesione dei fili elementari e la corda acquista maggiore deformabilità permanente
Le prove effettuate nel centro di Costacciaro hanno portato a rilevare che la sola esposizione alla luce solare comporta una diminuzione del 5% circa del valore di resistenza a rottura per trazione senza nodi rispetto a corde nuove.
L’umidità (f) invece è un elemento che accompagna inevitabilmente l’attività speleologica, non c’è scampo, quindi evitare armi fissi lasciati per molti anni in grotta. L’acqua ed il gelo invece provocano effetti diversi; la corda gelata risulta “più rigida” mentre la corda bagnata si “allunga di più”: il tutto rispetto alla corda asciutta.
Recentemente (2004) è stato dato avvio ad uno studio per verificare l’effetto dell’acqua sulle corde perché sembra che l’immersione in acqua comporti un deterioramento della resistenza delle corde…ma solo se queste passano molto tempo IMMERSE o sotto percolazioni costanti: Costacciaro sta studiando…
Durata “operativa” delle corde.
Le corde speleo non durano in eterno per i motivi che vi abbiamo elencato più sopra, ma allora per quanto tempo possiamo tenere operativa una corda? Ciò dipende da molti fattori tra i quali dobbiamo ritenere fondamentali quelli sopra elencati e che comportano, in generale, una diminuzione del diametro effettivo della corda - sebbene col tempo questa tenda a “gonfiarsi”. Ciò si può spiegare con una diminuzione dei filamenti elementari “sani”, ovvero, col tempo un certo numero di filamenti si rompe e si depolimerizza diminuendo, di fatto, il numero di filamenti su cui si scarica la forza di trazione cui sottoponiamo la corda con conseguente aumento della sua elasticità e aumento della deformazione plastica irreversibile - sempre rispetto ad una corda nuova -.
Prove di laboratorio hanno evidenziato che, sottoponendo una corda da 10,5 mm - con due anni d’uso - a trazione sino a 1.600 kg, questa si allunga permanentemente di più (rispetto alla corda nuova) alla prima prova, alla seconda prova l’allungamento non si riscontra più: è diventata più rigida.
Quindi la corda perde quasi tutta la sua deformabilità entro il primo anno di vita!!
Altro elemento che indebolisce le corde è l’ambiente in cui si usano. Le prove di Costacciaro hanno portato a rilevare che corde usate in grotte costituite da :
- calcare selcifero o contenente materiale duro, tagliente ed insolubile,
- gesso con argilla, che contiene scorie dure, taglienti ed insolubili,
comportano una diminuzione del carico di rottura considerevole tanto da portare le corde provate alla loro rottura con valori inferiori al L.I.R. (1.100 kg) senza nodi, il che equivale ad un pericoloso abbassamento del carico di rottura con nodi!!
SORPRESA: Testando una corda “nuova” usata solo per n° 3 speleo su una verticale di 130 m con 1 frazionamento è stato riscontrato che l’usura è quasi uguale a quella usata per 2 anni!!!
Quindi le corde decadono nettamente nelle loro caratteristiche, sia in tenuta senza nodo, che in deformabilità, che in presenza di nodi, già con le prime discese in grotta.
Lo stato di una corda “nuova” è puramente nominale e teorico perché bastano poche discese con discensore e conseguenti risalite con bloccanti, anche nel vuoto e senza contatto con la roccia, per fare decadere la corda a valori di tenuta e deformabilità prossimi a quelli di una corda utilizzata 2 anni.
…..e le prove sono state fatte con corde da 10,5 mm!! Occhio a quelle di diametro inferiore quindi!!
Alla luce di quanto esposto si può ritenere che una corda speleo, dopo soli DUE ANNI d’uso è, in genere, da buttare se non addirittura pericolosa e comunque da tenere sott’occhio!
Solo in casi d’uso non troppo intenso, in grotte senza particolari problemi di abrasione e inclusione di elementi rigidi e taglienti, si può pensare d’utilizzare la corda per un periodo superiore a due anni.
Manutenzione delle corde.
Alla luce di quanto sopra esposto è necessario trattare le corde con cura, seguendo i seguenti suggerimenti:
- A. Lavarle sempre dopo ogni uscita, con acqua tiepida e detersivo delicato, passandola tra spazzole che eliminino le particelle solide almeno dalla calza,
- B. Non calpestarle,
- C. Non scendere con discensori a velocità da “commandos”,
- D. Non lasciare armi fissi per anni interi in grotta,
- E. Non usarle per trainare veicoli o altro (!),
- F. Dopo 2 anni non utilizzarle più per la pratica speleologica (sich!)
Le corde “migliori” per speleologia.
Studi effettuati dalla CTM (Commissione Tecniche e Materiali) di Monte Cucco hanno portato ai seguenti suggerimenti:
- 1) Le corde “migliori” sono quelle con diametro pari a 10 mm (più grosse sarebbero eccessivamente pesanti e passerebbero con difficoltà negli attrezzi a causa dell’aumentare del diametro dovuto all’”invecchiamento”)
- 2) Le corde da 9 mm possono essere utilizzate solo se messe in opera nelle migliori condizioni e per periodi limitati. Devono essere esclusi errori di montaggio degli armi.
- 3) Le corde da 9 mm hanno mostrato che riescono a malapena a superare uno “choc da caduta”. (Si ricorda che “cadere nel vuoto” con corda non tesa dovrebbe essere evento rarissimo in speleologia)
- 4) Le corde di diametro inferiore a 9 mm non superano nemmeno la prima caduta….e poi non si comportano bene all’interno di discensori e bloccanti (vedere le note più avanti).
Corde bagnate e asciutte.
Prove effettuate nel 2001 a Costacciaro hanno portato ad evidenziare che tra uno spezzone di corda nuova ed uno spezzone di corda della stessa matassa, usato in grotta per due anni, porta - con l’uso di bloccante Croll Petzl - a dedurre che:
esistono considerevoli differenze di resistenza tra corde asciutte e bagnate.
Spieghiamo: a trazione il bloccante inizialmente lacera la sola calza e lascia intatti i trefoli interni, successivamente la calza score sui trefoli con forze d’attrito, che si oppongono alla trazione, del valore oscillante tra 80 e 120 kg. Tale situazione innesca di fatto un “dissipatore di energia” che fa concludere un’eventuale situazione di caduta choch con la sola lacerazione della calza mentre tutti i trefoli rimangono intatti a sostenere il peso (pfiuuu!!)
Ma questo accade solo su corde nuove - sia asciutte che bagnate - e solo su corde vecchie ma bagnate!! Sulle corde vecchie ma asciutte il bloccante lacera in successione, molto rapidamente, la calza e la totalità dei trefoli!!
Tranquilli… in caso di effettiva caduta dello speleo sappiamo che questi utilizza sempre due bloccanti (croll e maniglia) quindi entrerà in trazione per primo il croll e poi la maniglia, questo significa che, anche se si producesse la rottura della corda sul croll - corda asciutta per esempio - ci sarà sempre la maniglia che impedirà la caduta… (speriamo) …ma che fifa però!!
Deduzione logica:
in grotta usare sempre corde bagnate.
Effetto dei “VINCOLI” sulle corde.
La corda è un attrezzo che realizza la sua funzione sole se riesce a vincolare un peso ad un ancoraggio. Per fare ciò è indispensabile realizzare un collegamento fra corda e punti di vincolo.
Possiamo ritenere questi vincoli di tre tipi:
- Con dissipatori e discensori.
- Con bloccanti,
- Con nodi.
Nel caso (A) si ottiene un ancoraggio che per sua natura tende a far scorrere la corda sulla superficie d’appoggio a seguito di trazioni. Anche di piccola entità. Ne deriva un attacco poco stabile ma affidabile visto che la dissipazione d’energia per attrito abbatte nettamente le forze massime. In questi ancoraggi, non determinandosi punti preferenziali di aggancio, la corda non subisce lesioni e mantiene inalterato il suo carico di rottura.
La tenuta della struttura del discensore supera i 1800 Kg. Se ipotizziamo un “volo” su discensore bloccato con chiave, fattore di caduta (Fc) 1 e speleo di 90 Kg con corda da 10 mm di diametro, assistiamo a un leggero scorrimento della corda bloccata con chiave nell’attrezzo - di circa 15 cm -, e fin qui, tutto bene.
Se utilizzassimo corde di diametro inferiore, però, assisteremmo a una deformazione dell’attrezzo, fino alla sua rottura, con corde da 8 mm.
Nel caso (B) l’ancoraggio è fortemente rigido dove la corda non può scorrere se non a prezzo di lacerazioni e rotture. Per cui la fissità della corda sull’attacco viene pagata con un drastico abbassamento del carico di rottura dell’insieme.
La tenuta strutturale della maniglia è nell’ordine di 1700 kg mentre quella del ventrale si aggira sui 1400 kg. Se ipotizziamo un “volo” con corda di diametro 10 mm, fattore di caduta 1 e speleo di 90 kg si verificano interazioni tra corda e attrezzo molto particolari: a circa 550 kg il clicchetto dell’attrezzo lacera la calza e, successivamente (sempre che ci sia il blocco anti ribaltamento) inizia a tranciare qualche trefolo (4 o 5), poi si blocca e l’attrezzo è ancora utilizzabile anche se leggermente deformato.
Da ciò si rileva che è molto importante la presenza del blocco anti ribaltamento che impedisce la rottura della corda o il rovesciamento del clicchetto con conseguente DISTACCO dell’attrezzo (aaargghh!!!) dalla corda che, in questo caso, rimane quasi inalterata (per la felicità dei magazzinieri!).
Dati sperimentali hanno dimostrato una minore tenuta del bloccante ventrale rispetto alla maniglia, cosa abbastanza strana visto che la loro struttura è del tutto simile….
Con corde di diametro piccolo (8 o 9 mm) la rottura della corda è molto probabile in ogni caso.
CURIOSITA’: a Costacciaro è stato testo il piccolo bloccante d’emergenza “T-Bloc” della Petzl e ne sono emersi dati confortanti che ne fanno consigliare vivamente il porto per eventualità legate ad una emergenza. Ecco i dati rilevati:
- corda da 10 mm, rottura della calza a 726 kg con scorrimento della stessa sui trefoli - con forza di 300 kg - senza rottura dei trefoli stessi;
- corda da 9 mm, rottura calza a 685 kg con scorrimento calza sui trefoli – con forza di 330 kg – e progressiva rottura dei trefoli dopo 90 cm di scorrimento;
- corda da 8 mm, rottura della calza a 620 kg con scorrimento della calza sui trefoli – con forza di 340 kg – e progressiva rottura dei trefoli dopo 40 cm di scorrimento.
Ne risulta che il “T-Bloc” è di grande affidabilità con corde da 10 mm e oltre, ma deve essere usato con cautela con corde di diametro inferiore. Risultati analoghi alle corde di piccolo diametro sono stati ottenuti con corde da 10 mm ma usate… occhio quindi, questo è un ulteriore invito ad usare solo corde da 10 mm!
Nel caso C si ottiene una situazione intermedia fra dissipatori e bloccanti. Infatti i nodi sottoposti a trazione, dapprima si strizzano a seguito dello scorrimento. Della torsione e del piegamento della corda nelle spire, dissipando una certa quantità di energia; poi determinano una concentrazione di forze su ristrette porzioni delle superficie della calza dove si creano un insieme di forze di attrito che si oppongono allo scioglimento del nodo. Se il nodo non si scioglie vuol dire che le forze di attrito hanno raggiunto un’intensità complessiva pari alla forza di trazione. Quindi nei nodi si manifesta tanto una dissipazione di energia per attrito quanto un fissaggio abbastanza rigido con minimo spostamento della corda rispetto alla superficie di appoggio dell’attacco. Inevitabilmente, la quasi fissità dell’ancoraggio produce una perdita di tenuta da parte della corda (è noto infatti che la presenza di un nodo diminuisce il carico di rottura di circa 1/3.
Sempre attraverso studi effettuati a Costacciaro tra il 1994 ed il 1996 su corde da 10,5 mm troviamo che, in media, abbiamo il 44 % di decadimento dovuto all’uso e del 12 % per la presenza del nodo con un decremento del 56% complessivo della resistenza di una corda nuova dopo soli 2 anni!
Da notare che l’effetto nodo sulle corde “vecchie” comporta un decremento di “solo” il 12% mene lo stesso nodo su corde nuove comporta un decremento del 30- 40% circa. Almeno questo ci consola….
Conclusione? MAI corde con diametro inferiore a 10 mm con più di 2 anni di vita di grotta!!!
Nodi.
I nodi si distinguono in due categorie principali:
- 1. Ancoraggio.
- 2. Giunzione.
I primi servono per fissare la corda ad un qualsiasi attacco naturale o artificiali.
I secondi per congiungere due spezzoni di corde tra loro, di diametro uguale o diverso.
Rottura di una corda con e senza nodi.
Le corde prive di nodi si rompono per cedimento di uno o più fili elementari portati oltre il limite di snervamento. Da questo impercettibile fatto ha inizio una reazione a catena perché fa concentrare la forza traente su una sezione trasversale sempre più piccola e questo comporta un ulteriore localizzato allungamento addizionale per cui le fibre superano il limite di snervamento e cedono.
Le corde con nodi, invece, presentano un innesco ed un proseguimento della rottura che avviene sempre in corrispondenza dei tratti interessati dalle spire del nodo. L’innesco e il compimento della rottura è una conseguenza della fusione per attrito delle fibre.
Indagini sperimentali hanno portato alla luce i seguenti elementi comuni alle rottura di corde con nodi:
- I. La corda si recide sempre in corrispondenza del tratto avvolto nel nodo;
- II. Nella maggioranza dei casi la rottura avviene nella zona immediatamente precedente il punto di uscita dal nodo;
- III. Nella zona di rottura appaiono i segni della fusione del materiale sintetico, con calza irrigidita su superfici più o meno ampie;
- IV. Esaminando al microscopio la rottura, i fili elementari che costituiscono i trefoli dell’anima e i fasci della calza, mostrano quasi sempre sulla recissione una “bolla” di materiale prima fuso e poi risolidificato;
- V. Negli ancoraggi, in corrispondenza dei punti di appoggio, se non si ha scorrimento della corda su questi non si notano segni di fusione delle fibre;
- VI. Nelle identiche condizioni del punto precedente, ma con scorrimento della corda sulla superficie di appoggio dell’ancoraggio, risultano evidenti i segni di una fusione della calza;
Pertanto, si può concludere che la rottura di una corda con nodi è una conseguenza della produzione di calore per attrito ed è, quindi, un processo di fusione delle fibre sintetiche.
Anse ai frazionamenti.
Molto dibattuto il problema della lunghezza delle anse ai frazionamenti.
Studi effettuati hanno portato a considerare valido un gioco tra i 0,50 m ed 1,5 m di lunghezza dell’ansa.
Con ansa di 0,50 m si generano bassissime sollecitazioni sull’ancoraggio ma si trovano difficoltà nel compiere il frazionamento con gli attrezzi.
Con anse di 1,5 m abbiamo la possibilità di creare sollecitazioni più elevate in caso di cedimento ma comodità di manovra.
Ma è poi tanto importante creare anse corte?
Se si considera che ben difficilmente avremo frazionamenti distanti meno di 4 metri posiamo affermare che non esistono disparità di sollecitazioni significative.
Infatti, la variazione della lunghezza delle anse da 0,50 m a 1,5 m anche nelle condizioni più sfavorevoli, comporta l’aumento della forza massima da 400 kg a 635 kg sugli spit a parete: non vale proprio la pena fare tante acrobazie per evitare questi 200 kg in più.
Matasse.
In speleologia si usa portare le corde nei sacchi filate con anse corte alternate che stanno nel palmo di una mano ed infilate a partire dal fondo del sacco con un nodo al capo terminale per evitare che nello svolgerle, magari in discesa, si abbia la tragica sorpresa di veder il capo passare nel discensore ed allontanarsi verso l’alto perché la corda è finita ma il pozzo non ancora!
I nodi (v. tav. 2, 3, 4, 5, 6,7).
I nodi in uso nella pratica speleologica sono sostanzialmente il nodo ad otto detto anche “guide con frizione” o “Savoia”. E’ molto sicuro, semplice da fare e abbastanza “scioglibile” anche dopo essere stato sottoposto a grandi carichi.
Per doppiare un attacco viene utilizzato un nodo detto “coniglio” (guide con frizione doppio).
Per congiungere traversi viene utilizzato il nodo detto “farfalla”:
Esistono anche altri nodi utilizzabili in alternativa a quelli precedentemente citati e che possono sostituirli con gli stessi risultati ma non vengono solitamente utilizzati per motivi legati alla praticità ed omogeneità nell’armo dei pozzi in grotta tendendo a omologare e rendere automatiche e semplici le operazioni d’armo di un pozzo tra tutti gli speleo in circolazione.
Quando è necessario congiungere due corde viene utilizzato il “nodo inglese doppio”. Per costruire anelli di fettuccia, invece, si utilizza il “nodo fettuccia”.
Si ricorda che per un’efficace giunzione per i nodi sopra citati è indispensabile che il diametro delle corde da unire sia lo stesso.
In caso di concatenamento di due corde in corrispondenza di un moschettone di frazionamento, si incatenano le gasse passandole entrambe nel moschettone. Si ricordi che, per motivi di sicurezza, è necessario fare qualche nodo sul capo morto per evitare che qualcuno ci si appenda (tavola 4 figura 13).
Capo “morto” nei nodi.
Sfatiamo il mito del capo morto necessariamente lungo: non è necessario perché non è emerso in nessuna prova effettuata a Costacciaro che i nodi si “mangiano” i capi morti, perciò perché lasciarli lunghi sottraendo corda utile alla progressione? Quante volte avete pensato “….. ancora 50 cm e mi bastava….”.
Bastano 5 dita di capo morto per essere sicuri.
Semmai lasciarlo un pò più lungo nelle corde nuove perché la calza scorre di più, questo non è necessario per le corde vecchie.
Nodi speciali (v. Tav. 8,9,10,11,12,13,14,15,16)
Di recente Federico Battaglin ha pensato ed ideato nuovi nodi per la pratica speleologica che hanno la caratteristica di avere al di sotto della gassa principale un’ulteriore gassa rivolta verso il basso per facilitare l’agganciamento del moschettone della “longe” affrontando i frazionamenti ed inoltre limitano gli strappi agli ancoraggi doppiati qualora dovesse cedere uno dei due..
Questi nodi sono chiamati:
- “coniglio con coda”,
- “mezzo coniglio con coda”,
- “farfalla con la coda”,
Non hanno raggiunto ancora ampia diffusione ma, conoscendoli, potrebbero essere utilizzati in armi che comportano probabili difficoltà nel loro superamento.
La trattazione dell’esecuzione e dei possibili usi e vantaggi è riportata nelle allegate tabelle.
Chi volesse saperne di più sui nodi di Federico Battaglin può acquistare il suo testo: NODI ULTIMA FRONTIERA edito dalla casa editrice IMPRIMITUR di vai Canal 13/15 di Padova.
Su questo testo sono riportati altri nuovi nodi, singolari ed interessanti.
Ancoraggi senza l’utilizzo del moschettone (vedi tavola 17).
Dalla ditta RAUMER vengono proposti modi per realizzare nodi senza utilizzare i moschettoni sugli ancoraggi a parete. Questo metodo, ancora poco diffuso, potrebbe essere un ottimo sistema per “alleggerire” il peso dei sacchi che si trascinano in grotta eliminando il peso dei moschettoni in quanto, per armare, basterebbero gli anelli.
Ricapitoliamo: 10 REGOLE “AUREE” PER L’UTILIZZO DELLE CORDE.
- 1) NON fare mai toccare la roccia alle corde,
- 2) NON ci si appende mai ad un solo attacco (vedi regola del DUE)
- 3) Si attrezza sempre facendo “scendere” la corda verso il basso: i singoli ancoraggi, o i nodi della corda, devono trovarsi l’uno più in basso dell’altro - considerando la discesa -,
- 4) Sul capo finale delle corde fare sempre un nodo,
- 5) NON si calpestano le corde,
- 6) NON bruciare o scottare la corda con l’acetilene nelle manovre,
- 7) NON lasciare la corda sporca o bagnata (lavarla ed asciugarla dopo ogni uscita): usarla umida e pulita nella progressione.
- 8) NON lasciare la corda al sole, in ambienti umidi, con vapori oleosi, da idrocarburi o solventi,
- 9) NON usare le corde per altri scopi che non siano la speleologia (trainare auto..),
- 10) NON si scaldano le corde con discese da “commandos” (fanno “figo” ma danneggiano la corda per quelli che scendono dopo…)
La regola del DUE ci impone: mai muoversi in grotta senza avere almeno due attacchi di sicurezza:
- a) discesa: discensore e freno moschettone,
- b) salita: maniglia e ventrale,
- c) frazionamenti in discesa : freno moschettone e longe, (sposti il discensore)
- d) frazionamento in salita: maniglia e longe (sposti il ventrale).
In casi i cui non è possibile seguire la sequenza degli attrezzi sopra descritta mantenere comunque sempre presente la necessità di avere DUE vincoli mentre ci si muove - in salita o discesa - o si deve spostare un attrezzo da una corda ad un’altra - frazionamenti -.
Altri elementi della “catena di assicurazione”.
E’ necessario avere una conoscenza almeno per sommi capi degli altri elementi che compongono la “catena di assicurazione” intesa come l’insieme di tutti quegli elementi che concorrono a sostenerci mentre utilizziamo la corda.
Oltre la corda, quindi dobbiamo considerare:
- 1) l’imbragatura;
- 2) la maglia rapida che la chiude;
- 3) i moschettoni che concorrono a collegare gli attrezzi (discensore, bloccanti, longe);
- 4) i discensori;
- 5) gli autoboccanti;
- 6) le placchette e gli anelli su cui agganciamo i moschettoni;
- 7) i tasselli (caviglie) autoperforanti su cui si fissano le placchette, chiamati convenzionalmente SPIT ma che in realtà si chiamano SPIT ROC MF8
- 8) I tasselli non autoperforanti su ci si fissano le placchette chiamati, convenzionalmente FIX ma che in realtà sono SPIT FIX M8.
ATTENZIONE! Tutti questi elementi devono avere adeguata e simile tenuta. Basta che uno solo di questi elementi abbia una tenuta inferiore alla media degli altri che tutto il complesso “decade” e si dovrà considerare resistente quanto solo quello più debole...ricordate cosa è stato detto a proposito del L.I.R.?
Per chiarire, se l’imbrago è lacerato e la sua tenuta scende a 200 kg è del tutto inutile avere il resto a posto! Oppure se una tassello FIX è infisso su roccia “marcia” e si riesce ad estrarlo con la mano…
Maglie rapide e Moschettoni.
Si tratta qui solo marginalmente delle cosiddette “maglie rapide” e dei “moschettoni - o più correttamente dei CONNETTORI -.
Per quanto riguarda le maglie rapide ve ne sono di tre tipi fondamentali:
- 1) Simmetrici,
- 2) Semicircolari,
- 3) Delta.
Quelli più utilizzati per collegare e chiudere gli imbraghi sono le semicircolari.
Non hanno marchiature particolari ma possono riportare il marchio CE.
Sono nati per usi industriali e solo di recente si sono affermati anche per usi diversi.
Il loro carico di rottura è pericolosamente variabile da pezzo a pezzo e pertanto si suggerisce di utilizzare solo quelli in acciaio- possibilmente inox - con diametro del filo pari a 10 mm - mai inferiori -. Quelli in lega hanno mostrato pericolose fluttuazioni dei valori di resistenza al trazione tanto che peggiora notevolmente col passare del tempo. Inoltre si osservi che gli sforzi all’imbrago non sono lungo l’asse longitudinale della maglia ma lo sforzo è trasversale, proprio perché noi carichiamo la maglia rapida con gli attrezzi che trazionano la parte semicircolare.
Ricordarsi di avvitare tutti i filetti della ghiera di chiusura: un paio di filetti in meno significa diminuire la resistenza a valori che possono portare alla rottura con soli 300-400 Kg, che è troppo vicino ai carichi della normale progressione su corda.
Ricapitolando: maglie rapide di diametro del filo mai inferiore a 10 mm, in acciaio inox –sconsigliabili quelli in lega – e si sappia che i più resistenti sono i “delta”.
I moschettoni :
Sono marchiati con più simboli e lettere , precisamente possiamo trovare:
- 1) UIIAA
- 2) CE = conforme alle esigenze: rispetta la normativa europea sui D.P.I. (dispositivi individuali di protezione) seguito da un numero riferito alla normativa CEN relativa all’attrezzo.
- 3) la lettera L (racchiusa in un cerchio) indica moschettoni a bassa (Low) resistenza a dito aperto (6 KN),
- 4) la lettera N (racchiusa in un cerchio) indica moschettoni a resistenza normale (Normal) a dito aperto (9 KN)
N.B.: in CEN la differenza tra L e N non esiste, il carico di rottura è unico: a dito aperto 7 KN.
- 5) Lettera K: connettore per via ferrata; valore di resistenza a rottura, lungo l’asse maggiore a leva chiusa, intorno ai 30 Kn. Da usare con “dissipatore”.
- 6) Lettera H: connettore per “mezzo barcaiolo” (Hlbastwurf), indicato anche con HMS ”; con chiusura a ghiera, a base larga e poco arrotonbdata per favorire la costruzione e la tenuta del nodo
- 7) Lettera D = connettore direzionale, da usare solo con fettuccia cucita ( il posizionamento della fettuccia evita il carico lungo l’asse minore).
- 8) lettera X = connettore ovale, per bassi carichi ( es.: lavori su corda fissa). In uso prevalente nella speleologia…ma poi ne paliamo.
- 9) lettera A = connettore per ancoraggio fornito di fettuccia cucita rigidamente e fissata al moschettone stesso.
- 10) Valori di resistenza: a) lungo l’asse maggiore, b) lungo l’asse minore, c) asse maggiore con dito aperto riportati accanto i relativi simboli di facile comprensione. Tutti indicati in KN ovvero, in alcuni casi, in Kp
- 11)Connettori sono anche le “maglie e vite” (maglie rapide) molto in uso in speleologia per unire attrezzi all’imbrago.
- 12)NULLA (!!!) regola delle “tre N”: 1)Non comprarli, 2) Non usarli, 3) Non fidarsi.
Per la pratica speleo sono utilizzati moschettoni ovoidali con ghiera, in lega leggera e sigla N - oppure X - per gli ancoraggi a parete o per fissare gli attrezzi all’imbrago, mentre per le longe possono utilizzarsi moschettoni senza chiusura a ghiera da alpinismo; per il rinvio del discensore usare sempre un ovoidale in acciaio senza ghiera a motivo dell’usura sostenuta cui vanno incontro che sconsiglia quelli in lega.
I moschettoni in lega leggera “decadono” molto con l’uso e col trascorrere del tempo tanto che si hanno risultati di un dimezzamento della tenuta dopo solo 5 anni di uso in grotta.
Curate molto amorevolmente i vostri moschettoni, trattateli con sentimento e simpatia: lavateli bene, asciugateli rapidamente, lubrificateli con qualche goccia d’olio nelle parti mobili.
Distribuzione delle Forze nei moschettoni sotto carico.
Nel caso di moschettone simmetrico le sollecitazioni si applicano sui due vertici e nella struttura del moschettone, data la sua simmetricità rispetto ai punti d’applicazione delle forze, il peso si distribuisce equamente nei due bracci della struttura - distante 2 cm per ogni braccio rispetto all’asse di applicazione della forza -.
Nel caso di moschettone asimmetrico all’interno deal struttura portante la sollecitazione si suddividerà in modo inversamente proporzionale alla distanza tra l’asse di applicazione della forza tra i due vertici della struttura in quanto avremo che lungo il braccio senza dito verrà scaricata la forza maggiore. Ciò è dovuto alla distanza tra i due bracci rispetto all’asse d’applicazione della forza che è, per la struttura stessa del moschettone, di 1cm dal braccio intero e di 3,5 cm dal dito. In questo modo la parte debole della struttura del moschettone (perno, foro, ed incastro del dito apribile) sono situati nella parte meno sollecitata.
Di conseguenza i moschettoni asimmetrici, a parità di ogni altra condizione, hanno un carico di rottura superiore a quelli simmetrici.
Come si rompe un moschettone.
In qualsiasi caso il moschettone cede quando la sua parte debole (il dito), ovunque essa sia, si rompe.
Le rottura in altre sezioni seguono a catena ma non sono determinanti a stabilire il carico di rottura. Questo valore di forza dipende, a parità di condizioni, dalla geometria del moschettone ed in particolare dalla distanza del punto di cedimento dall’asse di applicazione del carico.
Prove su moschettoni nuovi hanno portato ai seguenti risultati.
SIMMETRICO.
Rottura a 1.758 kg. Cedimento iniziale sul dito e, solo dopo, mancando il sostegno di una delle due barre, si è avuta la rottura dell’altra ( cedimento che on ha influenzato in alcun modo la resistenza complessiva). Data la simmetria della struttura il cedimento del dito - precisamente al pernetto, che è uno dei punti deboli della catena - è avvenuto a 879 kg (metà del valore della resitenza complessiva del moschettone).
ASIMMETRICO.
Rottura a 3.924 kg. Cedimento iniziale dito e solo dopo, mancando l’apporto della struttura di una delle due barre - come nel caso precedente - si è avuta la rottura dell’altra.
Data l’asimmetria della struttura il cedimento del dito - precisamente si è rotto l’incavo che poggia sul pernetto – è avvenuto a 872 kg. Questo valore è dato dall’asimmetria della struttura perché l’asse di applicazione delle forze è di 3,5 cm lato dito e 1 cm lato barra intero.
I valori di rottura del dito si equivalgono in entrambi i moschettoni.
Unica differenza è che la barra intera sopportava una trazione di ben 3.052 kg!
E’ evidente che la tenuta complessiva dei moschettoni è diversa a seconda della loro geometria costruttiva: tanto più è lontano il dito dall’asse di applicazione della forza, tanto maggiore è, a parità di ogni altra condizione, la forza massima di tenuta del moschettone stesso.
SUGGERIMENTO: Usiamo moschettoni asimmetrici.
CORROSIONE DEI MOSCHETTONI IN LEGA.
Su questo argomento è bene spendere due parole.
La corrosione dei moschettoni in acciaio è cosa nota e comunque mai è tale da compromettere gravemente la tenuta. Infatti il primo strato di ossidi di ferro che si forma in superficie (qualche decimo di mm di spessore) impedisce che la corrosione prosegua in profondità: pertanto la tenuta alla rottura dei moschettoni in acciaio - e delle maglie rapide - non viene significativamente modificata dalla corrosione anche dopo anni.
Tutt’altra questione è la corrosione dei moschettoni – e di altre attrezzature speleo - in lega d’alluminio. In questo caso non si forma alcuno strato passivante e la corrosione, in modo assolutamente imprevedibile, si insinua all’interno della struttura compromettendone, anche in modo grave, la tenuta alla rottura.
La corrosione delle leghe d’alluminio si riconosce da:
- 1. in condizioni di umidità una specie di muco biancastro gelatinoso trasparente ricorpe gli attrezzi;
- 2. in ambiente asciutto il muco gelatinoso si secca trasformandosi in polvere biancastra facilmente asportabile, mentre l’attrezzo si ricopre di chiazze scure dove si individuano delle discontinuità della superficie (solchi e piccoli fori).
In entrambi i casi ciò avviene perché l’alluminio è un elemento “anfotero” che può formare nell’ambiente basico delle grotte degli alluminati di calcio (il muco biancastro o la polvere biancastra). Gli effetti delle corrosione delle leghe di alluminio sono del tutto imprevedibili e, al momento, valutabili solo per via sperimentale ma comunque è una questione da tenere sempre presente poiché produce gravi potenziali situazioni di pericolo.
Prove effettuate su moschettoni lasciti in grotta per un paio d’anni, che mostravano la caratteristica bava bianca, hanno portato a trovare valori di resistenza molto bassi, inferiori alla metà del loro cario di rottura da nuovi.
REGOLA AUREA:
“schiuma al moschettone, subito nel bidone”
Discensori e autobloccanti.
Ve ne sono di diversi tipi ma i più diffusi sono, per i discensori, i modelli a pulegge fisse anche se esistono discensori a barre - come il RAC - che sono indicati solo per lunghe discese.
Esistono modelli con il blocco automatico della discesa che impedisce all’attrezzo di fare scorrere la corda, quindi per scendere si deve volontariamente premere una leva. Il problema principale di questo sistema sta nella possibilità che, in caso di “volo” lo speleo, per istinto, stringere l’attrezzo tra le mani - come per frenare la caduta - ma così facendo libera ancor più l’attrezzo e favorisce la caduta. Per l’uso si deve essere molto esperti e sicuri di sé.
Le ditte produttrici ripropongono sempre lo stesso principio delle pulegge fisse e li troviamo tutti con il marchio CE.
Per le maniglie autobloccanti troviamo che si reggono tutti sullo stesso principio, pur esistendo altri attrezzi che bloccano la corda come lo SCHUNT, ma che ha trovato poca diffusione nella pratica speleologica. Tutti sono marchiati CE. Possono differenziarsi solo per particolari costruttivi che migliorano le condizioni di sicurezza in casi limite come per il blocco antiribaltamento del cricchetto dentato o per una diversa presa d’apertura del cicchetto.
Si può stare certi che i loro carichi di rottura, se montati come si deve, sono rassicuranti: intorno ai 1800-1900 kg per i discensori, 1400 kg per il ventrale e 1700 kg per la maniglia.
Ricordiamo che l’aspetto da valutare non è quello della loro tenuta, ma quello correlato alla loro interazione con la corda ( vedere casi A e B del paragrafo “effetti dei vincoli sulle corde”).
Placchette e anelli (v. tav. 19)
Sono quegli elementi a cui fissiamo i moschettoni che sostengono al corda.
Senza trattare nel dettaglio la materia si consideri che ne esistono di tipi e fogge diversi, ed ognuno ha diversa tenuta e resistenza oltre che diverso utilizzo.
Sono costruiti in lega leggere e acciaio.
Quelle in lega sono meno sicure se lasciati in opera in grotta per lungo tempo, così come per i moschettoni in lega. Quelle in acciaio riportano a valori di resistenza più costanti nel tempo anche con l’uso.
Le placchette sono da utilizzare prevalentemente per ancoraggi con direzione della forza di trazione perpendicolare all’asse di infissione del tassello (sforzo a taglio).
Esistono 3 tipi fondamentali di placchette:
- 1) piegata (o coudèe): ideale per pareti verticali con moschettone ovale quando il moschettone va ad appoggiarsi sulla parete distanziando quindi la corda che vi è collegata. Attenzione che il moschettone non faccia leva sulla roccia. NON vanno utilizzate nel vuoto o a soffitto.
- 2) Ritorta (o vrillè): ideale su parete verticale che diventa strapiombante, dove il nodo non va a toccare la roccia. Si possono utilizzare anche a soffitto se in acciaio.
- 3) “clown”: della Petzl è il migliore se si considerano i valori di resistenza trazione con ogni angolazione; anche ad estrazione mostra ottimi valori ed ha il pregio di poter essere utilizzato agganciandovi direttamente la gassa della corda senza l’ausilio del moschettone (riduzione dei pesi a portarsi appresso in grotta…). Il suo uso però non è molto diffuso e si può installare solo su tasselli SPIT ROC MF8.
Gli anelli sono da utilizzare prevalentemente nei casi in cui la trazione è coassiale al tassello (sforzo ad “estrazione” come nel caso di anello al soffitto).
Questo non esclude la possibilità di usi “intermedi” ma si tenga presente che i valori di resistenza possono variare in difetto con l’aumentare delle inclinazioni della direzione di trazione.
Agli anelli si possono fissare direttamente le corde, senza moschettone di collegamento, ma fare attenzione al loro diametro in quanto sottopongono la corda ad un lavoro di sfregamento più marcato rispetto a quello di un moschettone, che ha una diametro del “filo” su cui poggia la corda maggiore e quindi meno “tagliente”.
ATTENZIONE!
I valori di tenuta a trazione, sia a taglio che a estrazione delle placchette, sono molto variabili in considerazione del tipo di tassello che si utilizza. I valori migliori si ottengono con gli SPIT ROC MF8 mentre con gli SPIT FIX M8 il carico di rottura si abbassa pericolosamente (vedere paragrafo seguente)
Tasselli SPIT e FIX.
Di derivazione industriale per infissioni su calcestruzzo sono stati adottati dalla speleologia perché pratici e sicuri. Hanno permesso di eliminare i chiodi di tipo alpinistico e di introdurre l’uso della sola corda invece delle scalette in lega, unitamente allo sviluppo delle tecniche e dei materiali idonei allo scopo.
Lo SPIT ROC MF8 (vedi tavola 18) è un tassello (o meglio caviglia) autoperforante che si infigge nella roccia per mezzo di un “tampone a mano” che sopporta le battute di un martello e che, per mezzo della rotazione del tampone da parte dell’operatore, scava una sede nella roccia profonda 30 mm dal diametro di 12 mm a fondo piatto (importante che sia piatto! Non usare il trapano con le punte elicoidali propri per questo). Al termine della perforazione si inserisce un cuneo nella testa perforante del tassello e lo si ribatte nel foro sino al suo completo bloccaggio nella roccia.
In sintesi questa è la metodologia di infissone. La tenuta è ottima in ogni condizione sempre che l’attrezzista abbai fatto un buon lavoro di ricerca della roccia solida e compatta. Possono essere utilizzati sia a taglio che a estrazione e hanno valori di tenuta che si aggirano attorno ai 2.250 Kg a taglio e a 3.100 Kg ad estrazione, a seconda dei tipi di roccia, dell’inclinazione di fissaggio e della profondità di infissione oltre che dal tipo di placchetta o anello applicati.
Non si utilizzino caviglie e cunei di marche diverse tra loro: pericolo di difetti in tenuta.
Utilizzare bulloni marchiati 8.8 e non “da ferramenta” qualsiasi.
NOTA: nel 1999 a Costacciaro sono state effettuate prove su SPIT ROC MF8 con bulloni a testa 8.8 ed è emerso che la geometra attuale dei ROC è diversa da quella originaria e comporta una diminuzione della resistenza ad estrazione di circa 530 kg quindi si è passati dai 3.100 kg (per i ROC del 1997) agli attuali 2530 kg (per i ROC del 1999).
Lo SPIT FIX M8 (vedi tavola 18) è un tassello NON autoperforante che richiede un foro di 8 mm di diametro dalla profondità variabile a seconda del tipo di FIX che si utilizza.
Per FIX in acciaio normale si utilizzi uno SPT FIX M8-10 (ove 10 sta a significare lo spessore massimo fissabile) con gambo filettato di 20 mm e foro di infissione di almeno 50 mm.
Per FIX in acciaio inox utilizzare il modello SPT FIX M8-20 (20 indica, come sopra, lo spessore massimo fissabile) con gambo filettato di 30 mm e foro di infissione di almeno 70 mm.
Tra i due è meglio scegliere quelli in acciaio inox. Nel complesso le prove del CTM hanno mostrato che, montando placchette ed anelli, i migliori risultati si ottengono con i FIX ROC anche se i FIX SPIT (meglio se in acciaio inox) non sono da scartare a patto che siano installati con coscienza e perizia.
La sua resistenza, come per gli SPIT ROC, varia a seconda della roccia e della placchetta utilizzata ma si assesta a circa 2.000 kg per la rottura lenta a taglio e 2.050 kg per la rottura ad estrazione.
NOTA: anche per i tasselli cosiddetti “SPIT” si sono riscontrate variazioni in seguito a modifiche della geometria costruttiva. In particolare è stato rilevato che i FIX MSA 8 della Hilti del 1999 hanno mostrato un carico di rottura a taglio inferiore di circa 500 kg rispetto a quelli costruiti nel 1997 (si è passati da 2.107 a 1.568 kg di resistenza a taglio) mentre è rimasta invariata la resistenza ad estrazione.
Le due note devono farci riflettere perché le case produttrici di tasselli tipo “fix” o “spit” possono cambiare le caratteristiche dei tasselli senza preavviso e in modo tale che non sia possibile evidenziare i cambiamenti a colpo d’occhio, anzi…
Altre variabili che influiscono sulla tenuta degli SPIT e dei ROC sono:
- · profondità di infissione:
- a. sporgenza o scomparsa di parte della caviglia dello SPIT dalla parete,
- b. sporgenza della parte filettata del ROC dalla parete,
- · Svasatura del foro nella parete,
- · Inclinazione del foro nella parete,
- · Distanza del foro da un altro SPIT o ROC,
- · Tipo di bulloni per gli SPIT e tipo di dadi per i ROC,
- · Coppia (forza) di serraggio dei bulloni,
- · Marca dei tasselli autoperforanti (ne esistono di diverse marche:Hilti, Petzl, Simbi,Fischer Upat)
- · Materiale: acciaio normale o inox per i FIX .
Come si può notare le variabili da prendere in considerazione sono molte e quindi chi vuole attrezzare un armo in grotta deve essere molto preparato.
Attacchi con collante chimico.
Costituiscono una relativa novità ne campo della speleologia ma solo di recente a Costacciaro sono state eseguite prove di banco sulla loro effettiva resistenza e messa in opera.
Sostanzialmente questi metodi di attacco consistono in un foro riempito di un collante bicomponente entro cui va infilato un anello, con gambo filettato: si lascia “indurire” per un certo tempo e solo dopo questa attesa è possibile appendervisi, quindi non è utilizzabile per progressioni di “punta” o per usi “foro-inserisco tassello,piastrina,moschettone,corda-mi ci appendo subito”.
Sono attacchi interessanti per la progressione speleologica perché hanno mostrato di avere valori di resistenza elevatissimi a fronte dell’unico svantaggio di dover attendere del tempo perché il collante faccia presa sicura.
Dopo avere provato 6 diversi tipi di collanti si è giunti alla conclusione che i valori di resistenza ottenuti sono del tutto rispettabili, e superiori, a quelli dei tasselli meccanici tradizionali (SPIT e FIX).
Questi 6 collanti, a loro volta, si sono divisi in due”categorie”: 3 di questi hanno evidenziato, dopo 72 ore di attesa, una resistenza ad estrazione di circa 6.000 kg mentre gli altri 3 si aggiravano intorno ai 4.000 kg. Oltre le 72 ore la tenuta si stabilizza sullo stesso valore.
Certo non si possono attendere 72 ore prima di poter scendere un pozzo ma si sappia che già solo dopo 30’ dalla messa in opera tutti i sistemi hanno mostrato una tenuta superiore o pari a 2.000 kg.
Senza entrare nei dettagli, per utilizzare questi attacchi si devono prendere alcuni accorgimenti e precauzioni:
- · Che il collante non sia scaduto (anche se prove effettuate con colante scaduto da oltre 1 anno non hanno mostrato variazioni di resistenza e comunque, a fronte di resistenze di 6.000 kg con collante non scaduto, una diminuzione eventuale di 1.000 o 2.000 kg poco importa….ma comunque, attenzione).
- · Che la barra filettata (deve esserlo perché se è solo un cilindro liscio non tiene nulla, occhio!) sia posta bene in centro al foro riempito di collante. Se vogliamo evitare che qualche buon tempone ce la sfili semplicemente svitandola si deve mozzare a 45° la base, così, solidificando, nessuno può “svitarla” come sembra sia accaduto in qualche parete.
- · Che il foro entro cui si posiziona la barra sia un paio di millimetri più largo della barra e lo stesso in profondità (inutile sprecare energia del trapano per aumentare la profondità, tanto il fondo della barra non contribuisce assolutamente alla tenuta, sono i filetti della barra che “tengono” non le parti lisce).
- · Che il foro sia il più pulito e asciutto possibile. Infatti polveri e umidità comportano una minore coesione tra collante e pareti della roccia del foro con pericolose diminuzioni di resistenza. Non basta soffiare con il tubetto o a bocca…servono apposita pompetta e scovolino.
- · Che la temperature non sia troppo bassa. Su questo punto non possiamo intervenire quindi si sappia che minore è la temperatura della grotta maggiore è il tempo necessario per raggiungere la solidificazione ottimale del collante.
Regola aurea:
“buona roccia per buon tassello”
ed io aggiungerei:
“buon attrezzista per buoni armi”
Conclusioni.
Non si è voluto entrare nel dettaglio della complessa ed interessante “scienza delle corde e dei materiali” ma questa panoramica schematica dovrebbe aiutare a conoscere, e meglio utilizzare, gli attrezzi a cui ci affidiamo per svolgere la nostra attività.
Mario 0+ (CACOTRE).
(massima fondamentale: la validità di una informazione dipende dalla fonte da cui proviene).
Lavoro d’estrapolazione dei dati eseguito da Mario 0+.
Tutti i dati sono stati tratti da ”La resistenza dei materiali speleo-alpinistici” CTM 1989; “Resistenza delle attrezzature speleo alpinistiche – XXIII corso nazionale di aggiornamento e specializzazione su caratteristiche e resistenza dei materiali - dicembre 2004 a cura di Francesco Salvatori”; “Tecniche di grotta” di Badino G. ; “Grotte e Forre- tecniche speciali e autosoccorso” di Badino G. e Antonini G.; “Sicurezza” C.N.G.A.I. 2002; “Autosoccorso” C.N.G.A.I. 2002; “La catena di assicurazione” Commissione Interregionale Materiali e Tecniche Veneto-Friulana 1997.
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